mercoledì 8 ottobre 2014

Vite di donne non illustri e neppure esistite, per quanto/3

Ellora Calvelli aveva 35 anni, una gran massa di capelli rossi che nessuno aveva mai visto tranne lei
e lavorava in biblioteca.
La biblioteca del paese era minuscola ma ben fornita, grazie soprattutto all'impegno di Ellora.
Sola, senz'altri parenti che un fratello carissimo dotato di moglie, figlia, appartamento e occupazione in città, Ellora doveva preoccuparsi più che altro di se stessa e della casetta ereditata dai genitori.
Entrambe richiedevano poca manutenzione, la seconda più della prima tuttavia.
Nella biblioteca, la sezione dedicata alla narrativa era la più ricca e la più curata.
Perchè Ellora amava le vite degli altri.
Attraverso le pagine scritte aveva attraversato frontiere, salvato donne in pericolo, svelato segreti, raccolto confessioni. Aveva viaggiato su transatlantici destinati al naufragio, era salita su treni in partenza per il domani, aveva imparato a cavalcare nelle praterie selvagge. Ma sopra ogni altro evento, aveva amato. Tantissimo.
Aveva baciato labbra frementi. Aveva accarezzato mani passionali.
Aveva sospirato, riso, gridato, pianto.
Aveva persino partorito.
Mentre aspettava di ricevere e distribuire i libri, seduta composta alla reception della biblioteca, Ellora leggeva. Velocissima, abbracciava le pagine con i suoi occhi voraci, ogni giorno vivendo la vita che si era scelta dagli scaffali. Fino a sera.
Un giro di controllo, chiudere il portoncino, verso casa per la strada più lunga, quella che costeggia il bosco e passa proprio vicina all'abitazione del ragionier Zanfossi. Il ragionier Casimiro Zanfossi, maresciallo contabile dell'esercito in congedo permanente, aveva con Elvira un patto scellerato.
Tutti i libri che leggeva la vedova Martelli, anche Casimiro doveva leggerli. Per poter condividere con la vedova un'opinione, un parere, un'idea. Perchè il piano per la conquista della vedova Martelli prevedeva per il ragioniere un solo esito: la resa di lei senza condizioni. Di solito, il ragionier Zanfossi passava dalla biblioteca un paio di volte alla settimana, per prendere in prestito i libri o ritirare i riassunti - completi di passi salienti - preparati da Ellora. Ma era caduto dal castagno di fronte alla casa della vedova Martelli mentre cercava di convincerne il gatto a tornare a terra: uno scatto di Agenore (il gatto) e il ragionier Zanfossi aveva perso la dignità e l'uso - temporaneo - della caviglia sinistra.
Ellora suonò il campanello di casa Zanfossi e si dispose serenamente in attesa: del passo incerto e zoppicante del ragioniere. La porta invece si aprì di colpo e Ellora perse la parola.
Perchè di fronte a lei stava l'uomo più bello che lei avesse mai visto in carne e ossa. Più carne, così, a occhio.
Un poster a grandezza naturale di fascino virile. "Desidera?" disse l'apparizione.
"Ellora, è lei?" gridò il ragionier Zanfossi dall'interno della casa.
Sì, disse rauca Ellora sorridendo esitante al fusto.
"Falla entrare, Massimiliano" urlò il ragioniere.
Massimiliano, scoprì subito Ellora, era il figlio del ragionier Zanfossi. Tutto sua madre, di certo: si ritrovò a pensare Ellora. Come attribuire alla calva gentilezza del magrissimo Casimiro quella genesi di maschia potenza? Il ragioniere li presentò tutto sorridente, ritirando felice i libri dalle mani di Ellora e spiegandole garrulo che il figlio, anche lui, era in congedo permanente e si era appena trasferito in paese. "Vivrà qui con me, Ellora, pensi! E fa un mestiere bellissimo, sa? Il giardiniere!" La mente perversa di Ellora fu attraversata da un desiderio di potature e sfalci a cui Massimiliano diede subito voce: "Tu hai un giardino?" Ellora non rispose "sì e assetato", disse invece: "Sì, molto trascurato, in effetti."
"Ti accompagno così dò subito un'occhiata" rispose lui pratico e concreto afferrando la giacca.
Il silenzio e il passo condiviso. L'odore dell'autunno e il suono dei respiri.
La casetta di Ellora, dietro una curva. Il giardino: erbacce foglie secche alberi ignorati.
"C'è moltissimo da fare" disse Massimiliano mentre toglieva ad una ad una le forcine dai capelli strettamente raccolti di Ellora.
Sì, rispose rauca lei.
"Ma io non mi lascio sconfiggere" sussurrò lui mentre le liberava intento i capelli usando entrambe le mani.
Lo immaginavo, gli disse Ellora scuotendo le chiome rosse nella luce del tramonto d'ottobre.
"Comincio subito, se sei d'accordo" chiese lui gentile mentre le prendeva le mani nelle proprie.
Non aspettare un altro minuto,
dichiarò Ellora liberando una mano per chiudersi alle spalle la porta di casa.

Il ragionier Zanfossi li aveva spiati mentre camminavano vicini, la bibliotecaria e il giardiniere.

"Non saprò salvare i gatti" aveva detto orgoglioso alla propria immagine riflessa nello specchio dell'ingresso "ma per le damigelle in pericolo sono sempre il migliore!"


lunedì 8 settembre 2014

Tears

Che il desiderio di emozione porta alle parole.
Che le parole portano alla ricerca.
Che la ricerca porta al passato.
Che il passato porta ai ricordi.

I ricordi fanno male.
Fanno bene.
I ricordi sono tutto.
Sono niente.

Che non si possono cambiare.
Scambiali, allora.
Scambiali oggi.
Con l'amore.

mercoledì 20 agosto 2014

Vite di uomini non illustri e neppure esistiti, per quanto/4

Sebastiano Zani venne allevato dalla nonna.
Perchè, quando Sebastiano aveva appena compiuto tre anni,
i suoi legittimi e avventurosi genitori eran partiti:
diretti in Australia a cercar fortuna,
lasciandosi alle spalle il bambino, la nonna, la fattoria di famiglia e il piccolo gregge di pecore da concorso.
La trovarono, la fortuna, dato che non tornarono mai più al paesello.
Eran tempi, quelli, in cui la rete poteva avvilupparti solo dal vivo e fisicamente.
La nonna, che era un tipo ardimentoso, non si perse d'animo e si dedicò al nipote con tutta se stessa: il senso dell'umorismo non le mancava, responsabilità era il suo secondo nome, di forza ne aveva da vendere.
Aveva però un difetto, certo non l'unico ma a noi di questo soltanto è stato raccontato:
era superstiziosa.
Tra sale gettato tre volte alle spalle e chicchi di grandine raccolti nel pieno del temporale, Sebastiano crebbe ugualmente sano e forte. Solo che ignorava il grado di perfezione che i due aggettivi avevano potuto raggiungere nella sua persona: perchè nella casetta sua e della nonna non esistevano specchi.
Il miglior sistema trovato dalla nonna per evitare rotture e conseguenti sette paventati anni di guai.
La nonna non era eterna, purtroppo:
al funerale, nel minuscolo cimitero del paesello,
Sebastiano si sentiva addosso gli occhi di tutti i suoi compaesani.
Si sbagliava.
Erano gli occhi di tutte.
Alto.
Biondo.
Occhi blu.
Le spalle occupavano tutto lo spazio che misurava un sospiro femminile mentre usciva molto lentamente dai polmoni.
Le mani, furono ben descritte dalla moglie del fornaio, che disse: Saprei io cosa fargli impastare, con quelle manone.
Donna di polso!
Insomma, nella casetta al limitar del bosco dove Sebastiano viveva ora tutto solo,
cominciò dopo il funerale della nonna
un peregrinar di donne a portare vivande.
Pani di ogni forma e dimensione.
Torte e biscotti profumati di zucchero e burro.
Sformati di verdura dalla crosta croccantina.
Ogni donna, ogni ragazza faceva a gara nel compito grato di sfamare quel povero ragazzo rimasto tutto solo a badare alla fattoria e al gregge. Quale miglior ricompensa di dargli una bella sbirciata mentre le ringraziava? Chi si accontenta gode, del resto.
Solo una, non cucinò pani nè torte nè biscotti.
La maestra giovane, come la chiamavano e che insegnava nella piccola scuola multiclasse del paese. Vi era stata trasferita dalla città solo l'autunno precedente, giusto allo scoccare dell'età della pensione per la maestra vecchia.
Non che non sapesse cucinare, anzi.
Solo che voleva essere l'unica, a farlo per lui.
Ma Sebastiano era stato cresciuto dalla nonna a pane, formaggio... e libri.
Aveva cominciato a leggere da piccolissimo, e quando gli altri bambini del paese cominciavano la scuola primaria, lui già sapeva di pirati e corsari neri e sommergibili e isole misteriose.
Imparò un giorno che i treni non portano solo a destinazione.
Scoprì che le famiglie potevano anche essere un peso insopportabile.
Pianse e rise, e desiderò un sentimento e la sua emozione.
Quel giorno al cimitero mentre diceva addio alla nonna, si era sentito addosso un paio d'occhi più vivi che mai. Verdi, aveva visto girandosi.
La maestra giovane aveva appunto i capelli rossi e gli occhi verdi.
E mentre le donne del paese gli preparavano chi la colazione, chi il pranzo e la cena,
Sebastiano apriva la porta della scuoletta nell'ora perfetta: quando i bambini erano appena usciti,
lasciando la maestra tutta sola dentro l'aula profumata di gesso e matite
a raccogliere fogli e quaderni.
Una rosa è una rosa è una rosa, aveva imparato Sebastiano.
Una rosa per Margherita, disse fissando gli occhi verdi che si eran piantati nei suoi.

Le donne smisero di portar pietanze alla casetta.

Nella bacheca del municipio furono affisse le partecipazioni.

E sopra il lavabo nel bagno della casetta appena ridipinto,
uno specchio:
grande abbastanza per due.

lunedì 18 agosto 2014

Fuoco e fiamme

Appena ti ho visto, ti ho desiderato.
La tua forza.
Il tuo splendido aspetto.
Sapere con certezza che ti saresti acceso per me. Sempre.
Ti ho portato a casa con me. Anche se mi è costato, lo confesso.
Ti ho trattato con ogni cura.
A volte, forse, sono stata un po' rude: ma tu sei fatto d'acciaio!
E il mio rispetto non ti è certo mancato: ho messo ogni impegno per non lasciarti neppure un graffio.
So che non c'è mai da aspettarsi la gratitudine...che almeno tu non cadessi a pezzi, però!

Eldslaga di Ikea, 
che delusione di fornello sei stato.

Ti hanno ridisegnato, ho notato: più ergonomico, più funzionale.
Quasi quasi, ci riprovo.


mercoledì 13 agosto 2014

L'anniversario

Lei apre la portafinestra che dà sul giardino ed esce. Cerca il buio.
Fuori, il sole è solo un ricordo rosa all'orizzonte.
Lui la vede dall'altro lato della stanza piena di voci, musica, rumore e vita. Attraversa la stanza con lo sguardo fisso su di lei che se ne va.
La segue all'esterno ma non vuole che lei se ne accorga. Deve, vuole sorprenderla.

Sono vent'anni che sono sposati e questa sera stanno festeggiando l'anniversario.
Lui pensa a lei. E spera. E desidera.
E ricorda.

La chiesa minuscola, illuminata appena: forse quattro lampadine in alto, tante candele accese vicino all'altare.
La sera di dicembre, insolita, per niente fredda.
Vestirsi insieme nella stessa stanza, chè le superstizioni non fanno per loro.
Pure gli abiti per quella sera speciale, hanno scelto insieme:
troppo giovani e troppo innamorati per lasciarsi scoraggiare dagli avvertimenti, dai consigli non cercati.
Arrivare insieme davanti alla chiesa.
E quel rito, è solo per le famiglie: perchè loro si son già detti , in municipio, loro due soltanto e i testimoni. Sono sposati già da due mesi, ormai: ma hanno deciso che sarà la data di quella sera che ricorderanno.

Lui la scorge, immobile nell'ombra complice del presente.
Il giardino profuma di terra umida, l'aria sa di legna bruciata e d'inverno.
La raggiunge e la abbraccia da dietro. La stringe.
Lei gli si appoggia contro.
Lui le prende la mano sinistra, toglie qualcosa dalla tasca dei pantaloni.
Glielo fa scivolare al dito: è la chiusura di una lattina di birra, un po' storta, tutta ossidata.
Viene diretta da quella sera d'autunno in cui le ha chiesto di sposarlo e non aveva neanche l'anello.
Lei si guarda la mano e ride. "Dovevo immaginarlo, che l'avevi tu."
"L'hai cercato?"
"Sì, volevo farti una sorpresa, stasera."
"Ma sono arrivato prima io!"
Lei gli si gira tra le braccia, lui bacia il suo sorriso.
"Rifaresti tutto quanto?" gli chiede.
"Certo! Tu no?"
"Oh sì. Tutto. Solo..."

"Cosa?" le domanda lui.

"Ci metterei più amore."
 


lunedì 11 agosto 2014

Vite di donne non illustri e neppure esistite, per quanto/2

Arguzia Corelli seppe con certezza che avrebbe fatto la levatrice quando ancora non poteva neppure chiamare per nome la sua ambizione.
Una sera tra l'estate e l'autunno, stava dormendo tranquilla nella stalla, di nascosto dalla famiglia, quando un gran trambusto l'aveva svegliata: c'era una mucca che doveva partorire e se era stato chiamato il veterinario era segno che qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Le zampe, probabilmente. Quelle del vitello con tanto di zoccoli.
Protetta dal divisorio di legno e agevolata da un bel buco nell'asse malridotta, Arguzia assistette a tutta la faccenda, per nulla disgustata. Il veterinario, un dottorino talmente giovane che pareva suo fratello maggiore, aveva parlato per tutto il tempo sommessamente con la mucca. La sua voce calda aveva descritto con tono gentile alla mucca, e ad Arguzia, l'intera procedura: Arguzia, che era parecchio sveglia come del resto si racconta, mise insieme una frase con l'altra e capì che anche le donne facevano quella fatica lì, per far nascere i bambini. Uscì dal suo nascondiglio quando nella stalla rimase solo il veterinario e gli fece a bruciapelo un paio di domande di quelle che agli adulti non si potevan porre: lui la guardò serio, poi le rispose.
Da quel giorno, Arguzia e il veterinario divennero amici.
Lui le portava dei libri, e un giorno si prese la briga di dire ai suoi genitori che Arguzia doveva continuare a studiare perchè se lo meritava. La mamma di Arguzia aveva una zia che viveva in paese e la ragazzina vi si trasferì: era triste perchè lasciava le sue montagne ma non così triste. Il dottorino andava sempre a trovarla, e insieme ai libri le portava anche un fiore.
Arguzia e il dottorino si sposarono d'ottobre, perchè a lei piaceva l'autunno e a lui piaceva tutto quello che rendeva felice lei. Tornarono al paese insieme e andarono a vivere nella casetta di lui: il veterinario e la levatrice.
Diplomata, eh!